sabato 9 aprile 2005

L'embrione come paziente e persona nel rispetto della vita nella procreazione assistita

Orazio Piccinni Medico Chirurgo, Specialista in Ostetricia e Ginecologia Comunicazione per il Convegno del 31 gennaio 2005 ?Procreazione assistita: problemi e prospettive? (Riflessioni di un ginecologo esperto di riproduzione della vita) Una delle scoperte più importanti nella storia della medicina è sicuramente quella dovuta al fisiologo Robert G. Edwards e al ginecologo Patrick Steptoe sulla fecondazione in vitro del 1978. Questa scoperta ha permesso di ottenere dei bambini in coppie sterili, specialmente per patologia tubarica. Questa tecnica di ?riproduzione? artificiale della vita (erroneamente definita oggi ?procreazione? medicalmente assistita) ha comportato e comporta nonostante la legge no. 40 un prezzo da pagare molto alto in termini di offesa della dignità della coppia sterile ma specialmente in termini di mortificazione di embrioni prodotti. Il problema che più di tutti ha provocato accesi dibattiti nei vari contesti etici, politici, legislativi, e socio economici è la definizione della sterilità come malattia o disagio e il riconoscimento della persona-paziente fin dal concepimento. C?è un momento della vita in cui si dovrebbe avere il coraggio di fermarsi, se si ha il dubbio che quello che si sta facendo non è corretto, almeno nel metodo, quantunque il fine sia buono. Mi riferisco alla FIVET, da me fondata nella clinica Santa Maria di Bari, col compianto Prof. Vincenzo Traina nel 1989. Quando ho avuto la possibilità di riprodurre la vita in laboratorio, mi sono sentito molto potente, pervaso da quel delirio di onnipotenza che gli operatori del settore conoscono bene specialmente quando si annuncia ad una coppia sterile l?esito positivo. Un po? più tardi però la mia potenza trasformata in angoscia dovuta all?impossibilità di realizzare fino in fondo il progetto di vita per la gran parte degli embrioni prodotti (90 su 100). Mi sono convinto allora che l?amore vero comincia quando il figlio è concepito secondo i giusti canoni della dignità umana, nel matrimonio e in un rapporto unitivo e procreativo. Se si considera il feto come paziente, si deve anche rispettare l?embrione, suo precursore, come persona e paziente nella procreazione assistita. Tale rispetto dovuto, non è solo appannaggio dei cattolici, ma di tutti i laici e dello stato laico, fondato su nobili principi a tutela della vita fin dal
concepimento ( lo afferma perfino la legge 194/?78). Spesso l?uomo, per credere e riconoscersi persona, ha bisogno di vedere e toccare un corpo. (diapositiva) Persona, con un corpo e un? anima, è anche l? handicappato o il barbone o chi non ha la capacità di intendere e di volere. Perché anche l?embrione non viene tutelato e trattato come una persona indifesa?. L?embrione, è un soggetto di diritti, soggetto particolarmente debole e quindi non in grado di difendersi da solo. Nel corso degli anni, è cambiato il linguaggio (antilingua) nel definire alcuni eventi imbarazzanti come nel mondo scientifico dove si sono susseguite diverse definizioni culturali che hanno stravolto gli stadi iniziali naturali della vita umana (preembrione, ammasso di cellule, prezigote, ootide, ovulo fecondato, ovulo). Nelle primissime fasi del concepimento, due cellule per certi versi insignificanti, ovocita e spermatozoo, danno inizio alla scintilla che misteriosamente dà origine alla creazione di un nuovo essere umano unico ed irripetibile. Dall?ovocita fecondato, si procede senza interruzioni ai diversi stadi di sviluppo secondo linee ben definite e costanti che non riguardano il semplice accrescimento ma una evoluzione dell?individuo secondo una continua formazione di nuove strutture, dalla cellula fecondata fino all?adulto. (L?excursus parte da Gregor Mendel 1865 passa per Weismann 1892- Briggs e King ?56-?60 Gurdon ?63, sino ad arrivare ad Angelo Vescovi e Angelo Serra). Già nei primi minuti e nelle prime ore in seguito all?unione di spermatozoo e ovulo si definisce dove spunta la testa e i piedi e da quale parte si formerà la schiena e la pancia ovvero gli assi del corpo (Helen Pearson). L?azione attiva della cellula uovo appena fecondata, come organismo umano vivente, il cosiddetto prezigote, è stata documentata recentemente dalla presenza di ioni calcio sulla membrana che, oltre a dimostrare già una attività metabolica, impedisce l?ingresso di altri spermatozoi. Anche se i due nuclei non si sono ancora fusi, questi stanno già dialogando con messaggi per mezzo dei quali si scambiano le informazioni necessarie al processo la cui totale autonomia e il cui evidente finalismo unitario sono già più che evidenti manifestazioni di una individualità e di una identità uniche e nuove che non muteranno nel tempo. La selezione dell?uomo nella FIV è contemplata già normalmente nelle prime fasi embrionali prima del transfer, a quarantottore dall?inseminazione, allo stadio di quattro cellule. Il medico o il biologo-embriologo decide il destino degli embrioni prodotti, sulla base di parametri morfologici che li definiscono belli o brutti, classificandoli in quattro tipi, per destinarli a essere scartati, trasferiti o congelati (prima della legge 40/?04). Ma non è sempre cosi?: nel mio percorso professionale mi è capitato di produrre embrioni molto brutti che non valevano nulla, da buttare, che ho invece trasferito, ottenendo splendidi bambini. Tutti hanno diritto alla vita, diritto che non è assolutamente garantito nella FIV. Dopo aver
verificato l?avvenuta fecondazione dei tre embrioni, come l?ordinamento attuale prevede, questi vengono trasferiti in utero. Il destino della maggior parte di queste persone, purtroppo, è già stato tragicamente segnato. Si sa che l?utero anatomicamente e fisiologicamente è predisposto nella specie umana a gestire solo un feto se non si vuole incorrere nell?aumento significativo di rischio materno e fetale in termini di morbilità e mortalità come succede nelle gravidanze plurime. In questo senso, quindi, si ravvisa una contraddizione perché il medico trasferisce tre embrioni non per ottenere una gravidanza plurima ma ottenerne almeno una. Può altrimenti capitare che la paziente appellandosi alla legge 194/?78 e con l?aiuto del medico abortista e fautore della FIV, decida di eliminare il feto o i feti ?di troppo? (embrioriduzione). E? già da tempo risaputo che per aumentare il tasso di attecchimento c?è bisogno di un maggior numero di embrioni trasferiti che quindi fungono da supporto, da fertilizzante per quell?unico eventuale embrione fortunato superstite, sostituendo cosi? a monte quell?azione chimica spesso fallimentare di supporto con progesterone e/o ormone luteinizzante. Tuttavia, nonostante questi espedienti, il tasso di gravidanza si è attestato nei migliori centri al 30-40 % per ciclo di trattamento. Questo rimane il grosso problema scientifico irrisolto. A complicare, purtroppo, ulteriormente la vita dell?embrione, molti test positivi di gravidanza sono destinati precocemente a negativizzarsi a causa di un aumentato numero di aborti biochimici o clinici nei primi tre mesi. Abbiamo come risultato finale, rispetto al 30 % illusorio, solo il 10-12 % di bambini cosiddetti in braccio (solo in Svezia e in America si registra un 15 %). Su cento embrioni prodotti ne nascono massimo quindici. Se si trattasse di un? industria di automobili, avrebbe chiuso già da tempo per fallimento. Se io fossi un embrione pretenderei più garanzie di sopravvivenza. In questo senso la FIV, per numero di vite soppresse, è indubbiamente peggiore della interruzione di gravidanza. Spesso le pazienti non conoscono questo dato, cosi? come l?aumento dal 2 al 6 % delle malformazioni (Gianpierdomenico Palermo 2002). Un altro argomento attuale di mancato rispetto della vita nella FIV è la soppressione degli embrioni nella ?selezione eugenetica preimpianto?, in cui gli embrioni ? pazienti malati di thalassemia, sono immolati per curare e dare la vita a quelli non thalassemici. Mi chiedo: il thalassemico non ha il diritto di vivere e nascere se concepito ? Specialmente con le migliorate aspettative di vita attuali. Guarire una persona, eliminandone un? altra, è un paradosso imperdonabile, così come accade nella clonazione terapeutica. Si ritiene meglio prevenire che trovarsi in condizioni drammatiche di cura, ma se questo comporta la soppressione di una vita per tutelarne un? altra ne consegue che il
metodo è assolutamente sbagliato. Il fine che è buono, non giustifica i mezzi, specialmente quando è in ballo il bene supremo. Molto spesso, si proclama la difesa della vita in nome della sua ?sacralità? soltanto nelle tragedie da atti terroristici, specialmente quando purtroppo ne sono vittima i bambini. Per concludere, penso che la legge attuale n° 40, che regolamenta la fecondazione assistita, debba essere difesa ma preferibilmente non usata, perché finalmente si riconosce la dignità di persona all? embrione ma rimane una procedura offensiva della coppia e della vita degli embrioni. Non sempre tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente ammissibile. Il bene morale è di gran lunga superiore al bene materiale.

Nessun commento:

Posta un commento