martedì 15 marzo 2005

Come topi nel ventre di Torino…

…le baby gang invadono le fogne.

Hanno le mappe in testa, sanno bene dove infilarsi. Dal Valentino c’è un sentiero sterrato, pieno di immondizie e sterpi, sotto alberi invernali scheletrici. Un posto da paura anche in pieno giorno, terra di delinquenti, zona franca (e accidenti com’è minaccioso il cartello del Comune che intima: “Vietato il gioco del pallone”), ma ormai anche il centro storico oltre il corso Vittorio Emanuele è in ostaggio agli spacciatori africani, via San Massimo, via Mazzini, via dei Mille, qui polizia e carabinieri non riescono a fare nulla, non ci sono quasi mai. Arresi. La caverna è lì sotto, accanto a un imbarcadero. Si entra passando sotto una specie di arco naturale, poi la volta della fognatura s’abbassa di colpo e allora bisogna chinarsi. “Due ore nell’acqua sporca che arrivava a mezza gamba e anche più su, a un certo punto la sfioravo con la faccia” racconta il poliziotto. “Mi sentirò la puzza addosso per giorni, qui non bastano venti docce”.

L’intestino di Torino non è un luogo di fughe improvvise, è un territorio organizzato dalle bande. Queste erano le gallerie di Pietro Micca, il kamizake contro i francesi, e delle carrozze del Re, oggi è un incrocio di strade nere per lo spaccio di droga, per sparire e riapparire altrove sotto una grata divelta o un tombino. C’è chi ci vive, come i quindici bambini e ragazzi magrebini trovati negli scantinati della casa che fu di Gramsci, in piazza Carlina, cuore barocco torinese.

Succede sotto il centro storico, sotto il parco più importante della città, sotto la stazione di Porta Nuova e San Salvario ma anche sotto Porta Palazzo, la zona del mercato, dove i “napuli” di Mimì Metallurgico sono stati sostituiti dagli africani, dagli islamici con le moschee nei palazzi decrepiti e i loro negozi, le bancarelle del tè verde e delle spezie, le macellerie soprattutto. Qui, in via Noè, è stato appena scoperto un nodo di gallerie che collegavano un phone center con il cortile di una casa popolare di ringhiera, dallo spacciatore al consumatore senza mai uscire alla luce. Come non uscivano certi clienti del phone center, così gli agenti del commissariato Dora Vanchiglia hanno pensato che non potevano essere spariti nel nulla. Nel nulla no, nella pancia della città invece sì.

“Io guadagno anche trecento euro al giorno e non penso proprio di tornare a casa, in Marocco, è un posto troppo brutto” racconta Nabil, spacciatore di tredici anni che ne dichiara sei e indossa solo scarpe da ginnastica firmate. Come lui, altri cinquanta ragazzini fanno i corrieri della droga, nelle strade e in piazza Vittorio Veneto, e adesso nelle fogne, l’ultima novità dello spaccio. Poi ci sono i bambini rumeni che invece borseggiano e scippano, ci sono le piccole prostitute, i mendicanti ai semafori, un mondo sommerso che sa di sottosuolo anche quando non entra e non esce dai tombini. “Nell’arco di un anno intercettiamo circa quattrocento minori” spiega Laura Marzin, responsabile dell’Ufficio minori stranieri del Comune. “Non si può fare molto a parte esserci, offrire l’esempio di un adulto positivo, ma questi sono ragazzi senza più paura di nulla, disperati, aggressivi”.

Come i bambini di Bucarest, vivono e scappano e spacciano e si bucano e qualche volta muoiono lì sotto, con poca aria e ancora meno voglia di respirarla, dove un tubo di scarico è largo mezzo metro ma sempre più di qualunque futuro, molto di più.

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