venerdì 11 marzo 2005

Che ci guadagno? Il colore del grano.

Nel corso della vita ogni uomo ha provato l'esperienza della solitudine, e quando l'ha confrontata con gli altri si è accorto che non ne esiste una sola.

"Degli uomini", disse il Piccolo Principe, "coltivano cinquemila rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercan" "E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po' d'acqua"… "Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore"
(Saint-Exupéry, 1943, pag. 108).

Queste parole esprimono la condizione umana d'oggi: l'uomo proteso nel ricercare all'esterno i significati delle cose, non si rende conto che s'allontana sempre più dalla fonte originaria interiore. Con queste parole, il Piccolo Principe lancia un messaggio di ricerca ed indica la strada da percorrere.
Perché parlare, dunque, della solitudine?
Se esiste una spiegazione, essa può essere ricondotta alla natura della solitudine: essa tocca profondamente tutti gli uomini, è ineliminabile, ci accompagna per tutta la vita e, soprattutto, perché, per alcuni, i più fortunati, può diventare la strada della ricerca interiore.
il termine solitudine rimanda alla parola ?separare? composta da ?se? e ?parare?,cioé alla separazione del nascituro dalla madre con la conseguente perdita di uno stato particolare. La stessa parola solitudine rammenta all?uomo la perdita che ha vissuto, in quanto ne rappresenta l?evento avvenuto. Nessuno può negare che sia un?autentica esperienza di vita vissuta di dolore della perdita, di separazione.
La solitudine, dunque, esiste prima dell?uomo.
L?ovulo, al momento della fecondazione, è solo. Assunto il patrimonio genetico del partner, le reazioni fisico-chimiche dell?organismo separano l?ovulo dagli altri spermatozoi e lo isolano definitivamente dalla popolazione cellulare materna. È un organismo estraneo che conserva l?eco della madre e del padre. In futuro, la nascita, la crescita, l?età adulta rievocano la solitudine originaria.
Socialmente, poi, la solitudine si riconosce con chiarezza.
Quanti sono gli anziani abbandoni nell?anonima città?
Quante famiglie, sempre più estranee le une alle altre, vivono isolate di fronte all?affollata televisione?
Quanti ragazzi sono soli, nella prigione dorata del loro Walkman o della loro Playstation?
Quante persone, robotizzate dal lavoro, dalla spada di Damocle del licenziamento, della disoccupazione, sono costrette ad una solitudine forzata? Quante donne e ragazze non si sentono all?altezza degli stereotipi di bellezza loro imposti?
L?abbandono e dunque la solitudine, non risparmia nessuno.
La solitudine presenta moltissime sfaccettature: ve ne sono di forzate, in genere imposte dalle circostanze della vita, quali la prigionia l?indigenza, l? handicap e la malattia, l?isolamento percettivo o l?abbandono di una persona cara.
Vi sono poi solitudini volute e ricercat:quelle dell?artista, dell?asceta o di chi, nel viver quotidiano, sente il bisogno di ricercare un momento suo, per recuperare le energie disperse e per ritrovare quella parte soffocata dall?affanno della vita,salvo poi, a volte, non esserè altro che una fuga dalle situazioni che non riesce a gestire.
Vi sono ancora solitudini imposte dalla società. I mezzi di comunicazione, i mass-media, gli slogan pubblicitari che invitano ad isolarsi, a distinguersi esprimendo modi di vita ?unici? che accentuando l?individualismo. L?uomo contrappone alla solitudine un mondo di relazioni, di variegate immagini ed affannate azioni, che nel continuo tentativo di scrollarsi la solitudine che si porta addosso come una seconda pelle, si procura le sofferenze e le gioie della vita. Persentire il perpetuarsi dell?esperienza della solitudine, l?uomo è disposto a tutto, anche alla guerra.L?uomo é disposto anche ad abbandonare per non sentirsi solo, ad uccidere per non sentirsi morire dentro. Anche il continuo bisogno di potere, di persone influenti o di intere nazioni, può essere letto come una reazione alla solitudine.
La solitudine contiene, quindi, sia la depressione sia la reazione, sia la fuga sia la ricerca e quando l?uomose ne rende conto e riesce a contrapporre la disperazione della vita alla speranza, le opere che realizza sono geniali.
La solitudine non essendo solo disperazione, è anche speranza e forza, che vengono conquistate nel riconoscimento di una propria individualità originale e creativa. Può dunque scaturire una felicità nella solitudine.
C?è bisogno di una rieducazione del le persone alla solitudinei modo da renderla uno strumento in grado di permettere la realizzazione di un vero incontro con il proprio sé, in grado di far crescere le emozioni che proviamo, leggiamo, sentiamo, compiamo ed inventiamo, in grado di ridare valore al silenzio, come momento preparatorio per poter comunicare poi con gli altri.
E? questa una solitudine feconda che non può prescindere dalla relazione con l?altro. Esistono però dei momenti in cui l?individuo non può sfuggire alla solitudine nonostante la società la condanni, esistono delle condizioni in cui l?esterno impone alle persone la solitudine. Per qualche personaggio della storia ,questa forzatura è diventata la condizione che ha permesso l?espressione della fantasia e creatività.
Spesso si parla del desiderio di solitudine o della paura di restar soli, pocoo quasi nulla della capacità d?essere soli con se stessi. La fiducia costruita dentro di noi negli anni della crescita, ci ha permesso di controllare la solitudine di riconoscere i sentimenti che animano la parte profonda della nostra mente e di esprimerli.
In tal modo la solitudine è una condizione privilegiata da ricercarsi per aiutare l?individuo ad integrare i propri pensieri con emozioni e sentimenti. Il riuscire a costruire un momento di solitudine e di silenzio aiuta la persona a ritrovare se stesso nel disagio della vita, perciò il saper star soli, rappresenta una preziosa risorsa.
Vi è infine ancora una forma di solitudine, quella più semplice, di ogni giorno, come via di fuga dalla tensione della vita quotidiana che permette una vera e propria fuga dalla malattia mentale.
Qual è il destino dell?uomo? Può uscire dalla solitudine?
L?uomo ha imparato a convivere con la solitudine in molti modi e le persone che all?apparenza soffrono meno della solitudine, sembrano esser quelli animati da fede, la quale rappresenta una guida alla vita e un faro che illumina.
Altre persone avvertono il bisogno di condividere con altri la propria solitudine, salvo poi soffrire della stessa quando si lasciano. Sono persone molto orientate alle relazioni esterne, amanti della vita sociale, ricevono calore e sostegno in gruppo.
Altre ancora, che cercano di metabolizzare la solitudine, consapevoli che dalla solitudine non si può uscire, ma si può assegnarle un significato, come in questo breve stralcio.

?No?, disse il piccolo principe. ?Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare??
?E? una cosa da molto tempo dimenticata. Vuol dire creare dei legami…?
?Creare dei legami??
?Certo?, disse la volpe. ?Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l?uno dell?altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo?.
?Comincio a capire?, disse il piccolo principe. ?C?è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…?

Ma la volpe ritornò della sua idea:
?La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell?oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…?
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
?Per favore… addomesticami?, disse.
?Volentieri?, rispose il piccolo principe, ?ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose?.
?Non si conoscono che le cose che si addomesticano?, disse la volpe. ?Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!?
?Che bisogna fare?? domandò il piccolo principe.
?Bisogna essere molto pazienti?, rispose la volpe. ?In principio tu ti sederai un po? lontano da me, così, nell?erba. Io ti guarderò con la coda dell?occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po? più vicino…?
Il piccolo principe ritornò l?indomani.
?Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora?, disse la volpe. ?Se tu vieni per esempio tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell?ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti!?.
?Che cos?è un rito??(…)
?E? quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un?ora dalle altre ore.?(…)
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l?ora della partenza fu vicina:
?Ah!? disse la volpe, ?…piangerò?.
?La colpa è tua?, disse il piccolo principe, ?io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…?
?E? vero?, disse la volpe.
?Ma piangerai!? disse il piccolo principe.
?E? certo?, disse la volpe.
?Ma allora che ci guadagni??
?Ci guadagno?, disse la volpe, ?il colore del grano?.
(Saint-Exupéry, 1943).

Nessun commento:

Posta un commento