martedì 22 febbraio 2005

Ogni due giorni una donna afgana si dà fuoco per fuggire al suo destino

di Enrico Piovesana
Fatela, 15 anni, giace in un letto dell?ospedale di Herat, nell?ovest dell?Afghanistan. Il suo corpo è coperto di ustioni. Parla con un filo di voce. ?Mio marito, che è anche mio cugino, mi picchia sempre. Volevo scappare via, ma lui se ne è accorto: mi ha picchiata e poi ha preso il mio burqa dicendo che non sarei più potuta uscire di casa. Allora mi sono versata addosso una tanica di kerosene e mi sono data fuoco?.
184 casi nel 2004 solo ad Herat. Fatela è solo una delle centinaia di ragazze afgane che ogni anno cercano la morte nel fuoco per sfuggire a una vita di maltrattamenti e vessazioni inflitte loro da mariti che non amano e che sono stati imposti loro dalle proprie famiglie. Questo tragico fenomeno è particolarmente grave nella zona di Herat, dove le donne, per la storica influenza culturale del vicino Iran, sono tradizionalmente più consapevoli dei propri diritti e quindi più sensibili alle loro violazioni.
Secondo dati parziali forniti dalla Commissione Afgana Indipendente per i Diritti Umani, solo l?anno scorso ad Herat si sono verificati 184 casi di donne che si sono date fuoco, di cui 60 sono morte. Significa un tentato suicidio ogni due giorni, solo in una città. Senza contare i casi non denunciati per vergogna o paura.
In un altro letto dello stesso ospedale c?è Farzana, 17 anni. Anche lei è coperta di ustioni, ma non è stata lei a procurarsele. ?Mio marito mi picchiava ogni giorno. Ho provato a scappare di casa, ma lui e sua madre mi hanno scoperta. Per punizione mi hanno impedito di uscire di casa senza darmi quasi più nulla da mangiare. Un giorno, affamata, sono uscita a mendicare del cibo. Quando sono tornata ho messo a bollire l?acqua sulla stufa per far da mangiare per tutti: mia suocera era furibonda e mi ha versato addosso il pentolone d?acqua bollente?.

Le vedove rimpiangono i talebani. Molti casi di suicidio sono causati non da violenze e abusi: sono disperati atti di ribellione contro la tradizione afgana pre-islamica che obbliga le vedove a risposarsi con i cognati. Nell?ufficio del ministero delle Donne, a Kabul, si incontrano alcune giovani vedove di guerra sull?orlo della disperazione. ?Se non mi aiutano io mi ucciderò?, dice seriamente Sahra, 22 anni. ?Voglio risposarmi, ma mio cognato non me lo permette: vuole che sposi lui, e mi ha detto che se sposerò qualcun altro mi ucciderà. Ma se mi costringerà a sposarlo, mi ucciderò da sola?.
Soraya, 24 anni, è nella stessa condizione. ?La famiglia del mio defunto marito pretende che io sposi suo fratello di 13 anni, disabile. Quando ho detto che non voglio, mio suocero mi ha picchiata?.
Hanifa, 27 anni, rimpiange l?epoca dei talebani. ?Io mi sono risposata con un uomo che non è parente del mio defunto marito perché il mullah Omar aveva emesso un decreto che consentiva alle vedove di risposarsi con chi volevano. Ma ora mio cognato ha minacciato di uccidermi se non mi risposo con lui e mi ha portato via i quattro figli che avevo avuto da suo fratello?.
?Il mullah Omar aveva riconosciuto questa libertà alle vedove perché così vogliono Allah e il suo Profeta?, spiega Shaikh Zada, un mullah di Kabul. ?La legge islamica non costringe le vedove a sposare i cognati: questa è una follia che affonda le sue radici nella più conservatrice tradizione tribale afgana?.

La debole voce delle donne. La caduta del regime talebano non ha insomma portato grandi miglioramenti alla condizione delle donne afgane. Anzi. E non solo per colpa delle redivive tradizioni pre-islamiche, ma anche per l?insensibilità delle istituzioni governative, nonostante i proclami e le garanzie costituzionali. ?Le strutture pubbliche locali non sono a conoscenza dei diritti di cui le donne godono, almeno sulla carta, e quindi invece di aiutarle peggiorano la loro situazione?, dice Mohammad Azam, giudice di Herat. Lo spiega bene Sima Samar, donna simbolo della lotta per l?emancipazione delle donne afgane. ?In questo paese le donne che fuggono dalle violenze dei loro mariti scappando di casa, vengono ancora arrestate dalla polizia. E vengono rilasciate solo per essere ricondotte dal marito?.
Per ora alle donne afgane non rimane altro che stare chiuse in casa, e sognare ad occhi aperti ascoltando alla radio le trasmissioni di ?Voce delle Donne?, un’emittente afgana dedicata alla lotta per i loro diritti. Questa radio aveva iniziato a trasmettere subito dopo la caduta dei talebani, con il sostegno degli Stati Uniti, desiderosi di mostrare le positive novità dell?Afghanistan ?liberato?. Ma pochi mesi dopo, l?operazione pubblicitaria evidentemente era conclusa e la radio rimase senza fondi e fu costretta a chiudere. Da poche settimane ?Voce delle Donne? è tornata in onda grazie ai finanziamenti di una Ong tedesca. Ma solo nella zona di Kabul: il suo segnale purtroppo non arriva fino ad Herat, dove le donne continuano a darsi fuoco.

da peacereporter

1 commento:

  1. Di seguito i commenti dal vecchio blog.

    Louise
    23 Febbraio 2005 a 14:38 | #1
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    Sono riuscita a trovare le indicazioni per aderire all’iniziativa sul sito dei Verdi del Trentino http://www.verdideltrentino.org/Bacheca.htm
    si seguito la presentazione, in un prossimo messaggio metto la locandina.

    Louise
    Sottoscrizione organizzata
    dall’Assessorato provinciale
    all’emigrazione,
    solidarietà internazionale,
    sport e pari opportunità
    per aiutare la radio
    “VOCE DELLE DONNE AFGANE”
    fondata dalla giornalista afgana
    Jamila Mujahed
    per aiutare le donne dell’Afganistan
    nella battaglia per la democrazia
    l’emancipazione culturale e i diritti civili.

    Per informazioni
    telefonare allo 0461 985407
    pasqualotto
    23 Febbraio 2005 a 10:32 | #2
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    finalmente! allora cosa possiamo fare di concreto x queste donne? ma sosopratutto loro cosa sono disposte a fare x cambiare la loro situazione!!!!!!!!!!!!!
    roberta
    22 Febbraio 2005 a 17:21 | #3
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    Chiedo scusa, mi è scappato l’invio. Dicevo…non è che si può sapere come si chiama l’ong che sostiene la radio? Grazie per l’articolo.
    roberta
    22 Febbraio 2005 a 17:19 | #4
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    NOn è che puoi anche sapere come si chiama quella O
    Fildeli
    22 Febbraio 2005 a 16:23 | #5
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    Che cavolate!
    Col freddo che c’è usano il kerosene per darsi fuoco?
    Ma perché rimpiangono i talebani?
    Forse le donne stavano meglio?
    Non mi piace la politica del pietismo e delle esagerazioni.
    Neanche un po’!
    Fideli
    Cippola
    22 Febbraio 2005 a 16:21 | #6
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    …mi è bastato leggere 2 libri sulla condizione delle donne nello yemen per capire che, in molte parti del mondo le donne sono considerate meno di una pentola o qualsiasi altro oggetto…
    non ho parole…
    aersrl
    22 Febbraio 2005 a 14:59 | #7
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    Tra le tante,questa è solo un’amara conferma che i “diritti umani” sono degni di essere difesi soltanto se coincidono con gli “interessi” di chi governa le sorti del mondo.
    Celtic
    22 Febbraio 2005 a 13:58 | #8
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    Quella è gente ignorante,senza alcun rispetto per gli altri,non sono uomini,sono mostri.
    La donna è fra le creature piu’ belle che esistano,come si fa ad avere una mentalita’ cosi maschilista e violenta.Non mi capacito di come possa esistere ancora gente cosi’priva di umanita’.
    Un saluto
    Celtic

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