Ieri il Senato ha approvato il decreto legge sulla competitività, su questo decreto il Governo ha posto la questione di fiducia, rendendo quindi evidente che dall’approvazione dipendeva la sua
stessa esistenza.
In questo decreto, assieme ad altre norme, sono comprese una legge delega in materia fallimentare ed una sul processo civile, per entrambe le materie è necessaria una discussione legislativa e di studiosi, mentre con la questione di fiducia tutto si risolve in cinque minuti.
Questo è vero e proprio disprezzo del Parlamento ma d’altra parte inquadra perfettamente il disegno di predominio dell’esecutivo sul legislativo che il Governo persegue ormai da molto tempo.
La legge delega sul processo civile ha un elevato contenuto tecnico, mentre quella in materia fallimentare si può riassumere in questa semplice proposizione: la bancarotta fraudolenta (tipo Parmalat, per intenderci) non è più un reato perseguibile.
Non si spiega altrimenti l’abbassamento di talune pene,
con drastica riduzione dei termini di prescrizione e, quindi, con la
vanificazione di quasi tutti i processi compresi quelli pendenti, rendendo
quindi illusorio ogni rinvio a giudizio.
L’Italia quindi conferma la sua fama di paese senza regole essenziali e rigorose di un sano capitalismo e quindi il capitale si terrà sempre più alla larga, sia quello interno che soprattutto quello estero; quindi più che un decreto sulla competitività si tratta di un decreto per rendere l’Italia meno competitiva: come definire altrimenti una legge che sancisce la possibilità di prendersi i soldi di un’azienda, farla fallire e poi farla franca.
Speriamo che la Camera ponga rimedio a questo mostro giuridico.
Di seguito un articolo dell’associazione Libertà e Giustizia:
oggi il Senato ha approvato il decreto legge sulla competitività, parola
magica, che, come il terribile aggettivo “strategico”, serve a coprire
qualsiasi errore: su questo decreto il Governo ha posto la questione di
fiducia, rendendo quindi evidente che dall’approvazione dipendeva la sua
stessa esistenza.
In questo decreto, assieme ad altre norme, sono comprese una legge delega
in materia fallimentare ed una sul processo civile, entrambe materie sulle
quali la discussione legislativa è necessaria, come pure l’apporto degli
studiosi, mentre con la questione di fiducia tutto si risolve in cinque
minuti.
Questo si chiama disprezzo del Parlamento e si inquadra nel disegno di
predominio dell’esecutivo sul legislativo che il Governo persegue ormai da
molto tempo.
La legge delega sul processo civile ha un elevato contenuto tecnico, su
cui quindi non mi diffondo, mentre quella in materia fallimentare si può
comodamente riassumere in questa semplice proposizione: la bancarotta
fraudolenta (tipo Parmalat, per intenderci) non è più un reato
perseguibile.
Non altrimenti si può interpretare il fatto che si abbassano talune pene,
con drastica riduzione dei termini di prescrizione e, quindi, con la
vanificazione di quasi tutti i processi compresi quelli pendenti, rendendo
quindi illusorio ogni rinvio a giudizio.
L’Italia quindi conferma la sua fama di paese senza le regole essenziali
di un sano capitalismo (per esempio dopo il caso Enron gli Stati Uniti
inasprirono di molto le pene per il caso Enron, mentre noi depenalizzammo
il falso in bilancio) e quindi il capitale si terrà sempre più alla larga;
quindi più che un decreto sulla competitività si tratta di un decreto per
rendere l’Italia meno competitiva: non altrimenti infatti si può definire
una legge che sancisce la possibilità di prendersi i soldi di un’azienda,
farla fallire e poi farla franca.
Speriamo che la Camera ponga rimedio a questo mostro giuridico.
Di seguito un articolo di Libertà e Giustizia:
Appello: Bancarotta, no all’impunità
Contro il maxi emendamento inserito a sorpresa dalla Commissione Bilancio del Senato nel decreto sulla competitività si mobilitano con un appello giuristi, docenti universitari, avvocati e magistrati.
«La nuova formulazione della legge che delega al governo Berlusconi la riforma dei reati fallimentari ? sostengono ? è totalmente ingiustificata», «irragionevole», «incomprensibile» e fonte di «grave pregiudizio» per la giustizia e per la stessa economia italiana.
«Con questi termini – denunciano i giuristi – è certo che la totalità dei processi pendenti, anche per fatti di bancarotta di estrema gravità, si concluderà con una prescrizione». La riduzione delle pene li preoccupa perché «non esprime l?effettivo disvalore dei fatti incriminati».
Sono «preoccupati» anche per la «pena più grave» (6 anni) minacciata per «l?imprenditore individuale» rispetto al manager di società che sperpera «un patrimonio che non gli appartiene». E denunciano gli «effetti gravissimi» di impunità «per il futuro» (peggio di un?amnistia), con rischi di contraccolpi internazionali sull?«affidabilità» del sistema-Italia.
Ma l?aspetto più grave è quello dei tempi di prescrizione, che passeranno «da quindici a cinque anni, con un aumento a sette anni e mezzo nel caso di atti interruttivi. Con questi termini ? sostengono i giudici ? è certo che la quasi totalità dei processi penali attualmente pendenti, anche per fatti di bancarotta di estrema gravità, si concluderà con la dichiarazione di prescrizione». Una scelta incomprensibile dopo «i dissesti societari che hanno coinvolto decine di migliaia di azionisti e di risparmiatori».
Tra i primi firmatari, l?ex deputato di Forza Italia Raffaele Della Valle, il pm veneziano Carlo Nordio che presiede la commissione per il nuovo codice penale, Marco De Luca e Vittorio Angiolini, legali della nuova Parmalat del commissario Bondi; avvocati come Bovio, Mucciarelli, Pulitanò, Gilli, Lanzi, Dinoia, Minniti, Diodà e l?ispettore capo del ministero della Giustizia Giovanni Schiavon; professori universitari come Alessandri, Marinucci, Dolcini, Palazzo e Bartoli; magistrati come Carfì, Romanelli, Paluchowski e Cerqua, il giudice che condannò Licio Gelli per il crac del Banco Ambrosiano.
Libertà e Giustizia condivide appieno lo spirito di questo appello e si chiede fino a quando la maggioranza di questo Parlamento accetterà diktat del Cavaliere su leggi che favoriscono soltanto una parte precisa di cittadini molto spesso a lui legati da interessi e affari.
Libertà e Giustizia si chiede infine se per caso Berlusconi non intenda inserire anche la riforma della Costituzione in qualche decreto su cui porre la fiducia. Avremo forse una legge finanziaria con un maxi-emendamento che riscrive la Costituzione italiana?
Louise
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