lunedì 14 febbraio 2005

Liberare la Rai: i vantaggi della separazione societaria

di Andrea Papini
9 mar 05
La proposta di Prodi per il sistema radiotelevisivo italiano parte dal progetto di divisione della Rai in due società distinte (la prima con obblighi di servizio pubblico, finanziata dal canone, la seconda a carattere commerciale) come via migliore per consentire alla televisione pubblica di svolgere il proprio compito, creando al contempo le condizioni per spezzare quel duopolio del sistema che la legge Gasparri invece rafforza

La domanda che si deve porre chiunque abbia a cuore il pluralismo dell?informazione in Italia è questa: il danno prodotto dalla privatizzazione della legge Gasparri è facilmente reversibile? Purtroppo la risposta è: no, perché la privatizzazione della legge Gasparri renderà molto più difficile fare ciò che sarebbe opportuno fare.

Nell?affrontare il tema del sistema radiotelevisivo italiano, Romano Prodi è partito da una proposta
per la Rai per una serie di buoni motivi: perché la Rai è in mano pubblica, e dunque si può intervenire senza alimentare interessati vittimismi, perché la Rai ha bisogno di acquisire al più presto una propria capacità di impresa nel mercato europeo e soprattutto perché nella Rai risiede il nodo cruciale che determina e mantiene il duopolio televisivo italiano.

Il punto cruciale è che la Rai è al tempo stesso servizio pubblico e attività commerciale e dunque si avvale contemporaneamente, ed in misura a lungo paritaria, di risorse pubbliche, costituite dai proventi del canone, e di risorse private, costituite dalla raccolta di pubblicità a pagamento nel mercato. Per limitare la concorrenza della Rai, che sarebbe stata largamente impropria in quanto finanziata anche da ingenti risorse pubbliche, sono stati posti per legge dei tetti alle possibilità di raccolta di pubblicità della Rai nel mercato, a vantaggio della tv commerciale. È su questo scambio che si regge il duopolio in Italia: l?azienda pubblica riceve il canone, tiene impegnate le frequenze, ma non compete fino in fondo con il privato; il privato controlla, senza dover temere una vera concorrenza, la maggior parte delle risorse pubblicitarie del mercato; e così non c?è posto per altri.

Prodi affronta appunto questo nodo richiamando la proposta dell’Autorità antitrust e indicando il passo decisivo de «la divisione della Rai in due società distinte, la prima con obblighi di servizio pubblico generale finanziata esclusivamente dal canone, la seconda a carattere commerciale tenuta a sostenere le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria». Quest?ultima quindi destinata ad «essere messa in vendita ed offerta ad investitori e risparmiatori privati». I vantaggi della separazione societaria in questa prospettiva sono consistenti. Per quanto concerne i più generali effetti di sistema, si aprirebbe la possibilità di un maggiore pluralismo dell?informazione e quindi di una migliore qualità della democrazia in Italia.

Il pluralismo, infatti, non lo si tutela se si ipotizza di vigilare sul pluralismo interno di ciascuna singola fonte di informazione (cosa infattibile e neppure raccomandabile): lo si tutela efficacemente se si crea maggiore pluralismo nel mercato, determinando un meccanismo di concorrenza che opera per davvero, a tutto beneficio dei cittadini come tali (e anche come consumatori). In questo senso la proposta di Prodi, immette fattori di vera concorrenza nel mercato e avvia una rottura del duopolio che oggi tiene bloccato il sistema delle comunicazioni televisive in Italia. Si contrasterebbe inoltre la deleteria commistione tra partiti e sistema radiotelevisivo e dell?informazione e forse si otterrebbe lo storico risultato di svincolare larga parte della Rai dalle «molte servitù (dalla politica) dietro cui si maschera gran parte della sua fatidica missione di servizio» come ebbe a dire in passato un suo direttore generale.

Ma anche le sole ragioni dell?economia inducono ad intraprendere con determinazione questa strada. La rivoluzione in questo settore industriale delle telecomunicazioni è sotto gli occhi di tutti. In Italia abbiamo due grandi imprese che operano nel settore televisivo, Rai e Mediaset, e dobbiamo assicurare loro le migliori condizioni per competere in Europa e nel mondo. Un atteggiamento protezionistico, oggi, in questo settore in cui tutto sta cambiando, produrrebbe solo disastri domani. La Rai come impresa che opera nel mercato, che deve poter crescere con accordi, partecipazioni e scambi con altre imprese del settore a partire dall?Europa, viene pienamente valorizzata dalla proposta di separazione societaria e può cogliere tutte le opportunità di sviluppo che le si offrono.

La Rai che va sul mercato, con tutte le gradualità del caso, deve di pari passo essere liberata da tutti i vincoli che oggi la limitano nella raccolta pubblicitaria, così come nel rapporto con le altre imprese private. Continuare all?opposto ad operare nel mercato senza disporre di tutti gli strumenti del mercato significa obbligare la Rai a restare indietro e certo il finanziamento pubblico non potrà supplire a questa mancanza.

Considerazioni analoghe valgono anche per Mediaset. Certo, il produttore monopolista preferirebbe sempre, quando può, restare tale e lucrare incontrastato su questa posizione di comodo, ma sappiamo bene che ciò non produce crescita, non crea capacità competitiva in un mercato in continua evoluzione.

Il secondo tema di fondo da affrontare è il servizio pubblico. Tutti noi pensiamo che la Rai dovrebbe offrire trasmissioni diverse da quelle delle tv private, in virtù di una responsabilità di servizio pubblico affidatale a fronte di un sostanzioso pagamento effettuato dai cittadini, il canone. Purtroppo i soldi pagati come canone dai cittadini per avere servizio pubblico finiscono nell?unico contenitore Rai insieme con i soldi raccolti con la pubblicità. La Rai poi usa queste risorse, non più distinte, per fare indistintamente servizio pubblico e tv commerciale. Il risultato di questa infelice e totale commistione è che il servizio pubblico non è valutabile, non è controllabile, non è assoggettabile ad un processo migliorativo.

Poiché i cittadini sono obbligati a pagare il canone, mentre gli utenti di pubblicità sono liberi di scegliere dove investire i propri denari, ecco che la Rai privilegia necessariamente le esigenze di audience degli utenti pubblicitari, a scapito dei cittadini che pagano il canone. Si comporta esattamente come una tv commerciale. La separazione societaria porta al servizio pubblico un beneficio netto: la possibilità di essere valutato per ciò che davvero realizza e produce.

In conclusione la separazione societaria è dunque il passo decisivo nella direzione giusta, libera l?impresa Rai dai vincoli che oggi le impediscono di competere e di crescere, realizza un maggior pluralismo nel mercato e nell?informazione televisiva, mette in condizione la tv pubblica di essere un servizio pubblico. Che cosa fa invece la legge Gasparri? Esattamente il contrario. Assegna quote azionarie ai privati della Rai così come è, senza disgiungere attività di servizio pubblico e attività commerciali, e di fatto rende ancor più impenetrabile la deleteria commistione tra pubblico e privato che oggi è la Rai.

Per questo si parla di «finta» privatizzazione per la legge Gasparri: la Rai, e il duopolio, restano come sono, ma parte della proprietà del servizio pubblico viene messa in mani private mischiata assieme a parte della proprietà delle attività commerciali. Tutto questo rende ancor più difficile giungere ad un?opportuna distinzione e separazione. In questo senso è stato detto, con un?immagine molto efficace, che i futuri acquirenti delle azioni Rai saranno «scudi umani». Scudi umani contro la risoluzione dei problemi Rai e contro una maggior concorrenza nel mercato televisivo, e dunque contro un maggior pluralismo dell?informazione.

Per attrarre ugualmente risparmiatori e investitori, è già iniziata una campagna volta a far intendere che vi sarebbe un particolare vantaggio nell?avere azioni di una «azienda con la metà dei ricavi garantiti per legge», cioè i proventi del canone Rai. Tutto ciò volutamente trascurando che anche la legge Gasparri, e qui per fortuna si è sentita l?incidenza dell?Europa, ha dovuto stabilire che i ricavi derivanti dal canone non potranno finanziare attività non inerenti al servizio pubblico. Quei ricavi dunque è come se non esistessero per i futuri azionisti Rai. Non resta dunque che sperare che l?operazione di mantenimento del duopolio televisivo, costruita con la legge Gasparri, venga fermata dalla consapevole indisponibilità dei risparmiatori e degli investitori a trasformarsi, e per di più a pagamento, in «scudi umani».

A questo scopo si può in parte fare affidamento sul discernimento del mercato stesso, ma non si deve sottostimare il rischio che vi sia lo stesso chi è interessato a finanziare questa operazione per poter condizionare, o per poter continuare a condizionare, il mercato televisivo e la informazione in Italia. Per spezzare il duopolio televisivo che umilia la democrazia in Italia e per ridare una prospettiva alla Rai e al servizio pubblico, le forze politiche devono far intendere chiaramente la propria determinazione a rimuovere comunque gli effetti più perversi della legge.

Nessun commento:

Posta un commento